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La storia e la tradizione dei cantucci e del vin santo si intrecciano con numerosi racconti, più vicini alle leggende che alla cronaca.
Cantucci e vin santo formano il binomio più famoso nel panorama dei prodotti dolciari toscani. Un binomio in grado di rilasciare immediatamente nel palato un sapore antico e dolce.
I biscotti secchi più famosi della tradizione dolciaria toscana e il vino liquoroso tipico dei dessert costituiscono un’accoppiata classica, sia come degna conclusione di un pasto, anche nei migliori ristoranti, che come invitante degustazione. Basti pensare che il cantuccio è il terzo biscotto più famoso al mondo, mentre il vin santo ha ormai un posto d’onore nella grande famiglia dei vini toscani e italiani.
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Cantucci e vin santo: come sono nati
La nascita di prodotti culinari così caratteristici si perde sempre in un passato che alle volte è piuttosto vago, altre composto da storie che si escludono a vicenda o si intrecciano. Poi, come spesso accade in Toscana, quasi ogni città ha la sua versione. In ogni caso, se è difficile risalire a un’unica storia, di sicuro tornare alle origini dei cantucci, chiamati anche cantuccini, e del vin santo significa fare un piccolo viaggio nella cultura gastronomica italiana.
Più lineare, e meglio documentata, è la storia del cantuccio, da non confondere con il biscotto di Prato, altrettanto nobile e dalla preparazione leggermente differente. Una storia che trova il primo punto fermo, autorevole, nel dizionario dell’Accademia della Crusca nel 1691. Gli ingredienti base di questi biscotti dalla tradizionale forma allungata erano: il fior di farina – la farina più bianca e fine – lo zucchero e l’albume delle uova. La semplicità fatta dolce.
Dal taglio peculiare del filone di impasto caldo, in diagonale a fette, deriva il nome cantuccio, riconducibile quindi a “canto”, angolo, o “cantellus”, pezzo di pane. Le mandorle inizialmente venivano utilizzate soltanto in alcune varianti di questi biscotti; dall’Ottocento invece entrano a far parte stabilmente degli ingredienti, divenendo anzi l’elemento caratteristico dei cantucci.
Sempre nel XIX° secolo Antonio Mattei, pasticciere di Prato, definisce la ricetta universalmente riconosciuta, con l’aggiunta di mandorle e pinoli.
La storia del vin santo è più contraddittoria e più romantica.
Una versione radicata a Firenze fa risalire l’origine del nome a un’esclamazione di Giovanni Bessarione, metropolita greco, che durante il Concilio di Firenze del 1439, assaggiando un vin pretto disse: “Questo è il vino di Xantos!” Si riferiva a un vino passito greco, tuttavia i commensali compresero “Santo” e da allora il vin pretto locale divenne vin santo.
Secondo un’altra versione di Siena, un frate francescano nel 1398 era solito curare i malati di peste con del vino usato per celebrare messa. Le proprietà curative del vino o più probabilmente la suggestione per le stesse gli valsero il nome di santo.
Più prosaicamente le origini del nome derivano dall’abitudine di effettuare la svinatura, l’estrazione del vino dal mosto dopo la fermentazione, durante la settimana santa, nel periodo pasquale.
Vino dal sapore inconfondibile, viene prodotto con uve di Trebbiano toscano, Malvasia bianca, Passerina, Grechetto. Unica eccezione, in quanto a bacca rossa, è l’utilizzo delle uve di Sangiovese; in questo caso si parla di una specifica tipologia di vin santo, l’Occhio di Pernice.
È il vino passito per eccellenza, con alcolicità tra i 14 e i 16 gradi, e si ottiene dopo disidratazione (appassimento) delle uve e fermentazione in piccole botti. Nel corso dei secoli il processo di fermentazione ha sempre creato qualche problema, a causa delle difficoltà per i lieviti di sopravvivere agli alti tassi alcolici determinati dall’elevata concentrazione zuccherina del mosto. Oggi i produttori usano tipologie selezionate di lievito, adatte a innescare la fermentazione anche in condizioni difficili.
Varianti dei cantucci e vin santo
Le varianti dei cantucci sono tantissime e chi si è cimentato in censimenti mirati ha scoperto oltre 100 tipi di cantucci differenti, anche se le differenze sono spesso impercettibili, cambiando qualche ingrediente o qualche passaggio nella preparazione.
In Umbria e nel Lazio sono conosciuti con il termine di tozzetti e sono una specialità da tavola molto diffusa; al posto delle mandorle vengono utilizzate le nocciole, per il resto si tratta di dolci molto simili ai cantucci.
Rispetto a questi ultimi i tozzetti si prestano a un consumo più ampio: non solo si accompagnano a vini liquorosi ma possono essere degustati anche con bevande calde, come tè o caffè. Questo perché la produzione segue regole meno rigide e il risultato finale è piuttosto vario, a seconda delle tradizioni regionali. Possono essere più o meno morbidi e possono essere preparati con diversi tipi di frutta secca: pinoli, noci, arachidi. Si possono utilizzare anche canditi o gocce di cioccolato.
Se il cantuccio è il biscotto da forno tipico della cucina toscana, tanto da aver ottenuto il riconoscimento IGP, Indicazione Geografica Protetta, il tozzetto ne è la versione più eclettica, diffusa in tutto il territorio italiano.
Il Vin Santo del Chianti è originario dell’area di produzione del Chianti; non è corretto parlarne come di una variante del vin santo, anche se la specificità dell’area di produzione e i riconoscimenti della qualità lo hanno reso un prodotto tipico a sé stante.
Il vin santo comunque ha ispirato delle varianti in più di una regione. Le versioni più note, prodotte al di fuori della Toscana, sono il Vino Santo del Trentino, che si ricava dalle uve di Nosiola, e quello veneto, tipico dell’area della Gambellara, ottenuto grazie all’uva Garganega.
Sempre in tema di varianti, va sottolineata l’abitudine, sempre più diffusa negli ultimi anni, di accompagnare i cantucci con diversi tipi di crema: pasticcera, di mascarpone, inglese.
La ricetta dei cantucci
La vera ricetta dei cantucci è semplice, pochi ingredienti e pochi consigli ma tanta tradizione:
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- 500 g di farina 00,
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- 350 g di zucchero,
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- 2 uova intere,
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- 50 g di burro,
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- 250 g di mandorle sgusciate (non spellate),
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- una scorza di limone o mezza di arancia,
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- mezza bustina di lievito per dolci,
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- un pizzico di sale.
Bisogna lavorare in una ciotola la farina con il lievito, lo zucchero, il burro, le uova e il pizzico di sale. Aggiungere il burro, il limone grattugiato e mescolare la pasta che andrà a formarsi e che risulterà appiccicosa. È il momento di inserire le mandorle nell’impasto, continuando a lavorare l’insieme.
L’impasto va poi disposto su un piano di lavoro, ricavandone 3 o 4 filoncini, uniformi per spessore e lunghezza, da spennellare con l’uovo sbattuto. I filoncini vanno messi in forno per circa 20 minuti, a una temperatura di 200°. Una volta estratti vanno fatti raffreddare qualche minuto, prima di procedere al taglio diagonale e all’ottenimento dei cantucci; lo spessore ideale è compreso tra 1,2 cm e 1,5 cm.
Ottenuti i biscotti, rimetterli in forno per la tostatura finale: circa 12-15 minuti a 160°. La seconda cottura, si tratta pur sempre di bis-cotti, va comunque controllata, per evitare che si brucino o si scuriscano troppo.
In alternativa allo zucchero si può utilizzare il miele, mentre al posto del burro si può usare l’olio d’oliva. Ma le alternative, negli ingredienti, possono essere diverse; come sempre la fantasia e la curiosità sono le guide dei cuochi e ogni casa ha le sue ricette segrete.
Per la preparazione del biscotto di Prato, che come accennato risulta differente dal cantuccio universalmente riconosciuto, vengono usati anche i pinoli, mentre non vengono utilizzati lieviti, grassi e aromi: si tratta di una ricetta ancora più semplice e allo stesso tempo più rigorosa, vero e proprio vanto dei panificatori pratesi.
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